Onorevoli Colleghi! - L'attuale contratto di lavoro di natura privatistica per la dirigenza dello Stato ha mortificato l'opera del singolo dirigente, mercanteggiando il suo rapporto di lavoro con l'autorità politica del momento. Pronta, quest'ultima, a concedere sempre di più ai «servitori» che si adeguano al suo volere, più che all'interesse generale del Paese.
      La presente proposta di legge, pertanto, nasce dall'esigenza di realizzare una sostanziale riforma dell'attuale rapporto di impiego del personale dirigenziale delle amministrazioni statali, stabilendone il passaggio dal regime privatistico, cui è attualmente assoggettato, ad una autonoma disciplina di diritto pubblico nell'interesse esclusivo del buon andamento della pubblica amministrazione.
      La «ratio» del provvedimento va ricercata nella oggettiva considerazione che nel settore statale la dirigenza cosiddetta «privatizzata» interessa soltanto circa 4.500 dirigenti a fronte di un numero complessivo di circa 80.000 unità, comprendente anche ambasciatori, magistrati, prefetti, docenti universitari, ufficiali delle forze armate, personale della Polizia di Stato.
      I dirigenti privatizzati interessati costituiscono appena il 6 per cento di tutta la dirigenza statale. Questi, inoltre, sono gli unici dirigenti a subire lo «spoyl system» e ad essere assoggettati a contratti individuali a termine, oltre a sopportare i gravosi impegni collegati al loro status di «datori di lavoro».
      Obiettivo primario della presente proposta di legge, dunque, è di garantire il

 

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perseguimento «in toto» dei fini individuati dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche alla luce dei princìpi recati dalla legge 15 luglio 2002, n. 145, in materia di riordino della dirigenza dello Stato, eliminando le citate cause di turbativa che incidono negativamente sulla efficienza della pubblica amministrazione.
      Le nuove norme, infatti, consentirebbero alla dirigenza statale di tornare ad essere indipendente, imparziale e produttiva al massimo grado, operando con serenità per il pubblico interesse, nei termini voluti dalla Costituzione. Questo Parlamento darebbe così una giusta risposta anche sull'autonomia della dirigenza pubblica, in nome di quella giustizia perequativa che non deve mai soccombere alla prepotenza dei più forti.
      Nell'ambito della proposta di legge si prevede il ripristino della qualifica di «dirigente superiore» per quei pochi dirigenti di seconda fascia che tale qualifica già rivestivano prima dell'avvento del ruolo dirigenziale unico. Ciò in quanto alcuni dei predetti dirigenti, che a tale posizione erano arrivati previo il superamento di dure prove concorsuali, si sono visti scavalcati da dirigenti a loro di molto posposti nel vecchio «ruolo» di anzianità di ciascuna amministrazione, i quali, in taluni casi, hanno attinto incarichi di rilievo, e relative remunerazioni, senza aver dovuto affrontare stressanti selezioni.
      Allo scopo di ricomporre tale iniqua situazione, la norma in questione tende - anche alla luce della restituzione del «ruolo dirigenziale» alle singole amministrazioni (decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) - non solo a ripristinare la qualifica di «dirigente superiore», ma ad attribuire ai titolari di detta qualifica la «retribuzione di posizione» nella misura massima prevista per i dirigenti di seconda fascia inseriti nel ruolo dell'amministrazione di appartenenza.
      La proposta di legge non contempla aggravi a carico del bilancio dello Stato, in quanto gli oneri finanziari eventualmente derivanti dalla sua attuazione non potrebbero comunque superare gli appositi stanziamenti di spesa determinati dalla legge finanziaria nell'ambito delle compatibilità economiche generali definite dal bilancio pluriennale dello Stato.
      Infine, nella presente proposta di legge viene istituito il Consiglio superiore dei dirigenti dello Stato, presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, in analogia al Consiglio superiore della magistratura, al quale, pur nel pieno rispetto della legittimità dell'atto amministrativo, è affidato il compito di tutelare i diritti e gli interessi della dirigenza.
 

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